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Martedì, 19 Marzo 2024
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STRENA DE DEINÀ 2022

E  RECAMAVÙIRE

L’arte di ricamare

 

 

La consuetudine di impreziosire con ricami gli arredi tessili di casa e la biancheria personale della famiglia, eseguendoli immancabilmente e tradizionalmente a mano, si è volatilizzata quando apparve la moderna macchina per cucire. È bastato accessoriarla di alcuni semplici congegni per sostituirla all’arte del ricamo.

Però, nelle rare famiglie che hanno potuto permettersi l’acquisto di una “machina da cüxe”, la medesima non veniva primariamente utilizzata a questo scopo, viste le inevitabili complicazioni applicate nel procedimento. Per contro, il mondo dell’industria ne ha approfittato, potendo immettere sul mercato arredi tessili e biancheria ricamata offerti a prezzi più che invitanti. Tuttalpiù, in famiglia, con la macchina da cucire ci si accingeva ad aggiungere, su quei tessuti già ricamati, una “cifra” vagamente personalizzante.

In quel tempo, l’immenso bacino delle ricamatrici a mano, operanti in proprio, si era rapidamente dissolto, mentre si era rivelato redditizio esercitare il ricamo a mano per professione, riservato però ad un numero contenuto di esecutrici.

L’arte di ricamare i tessuti e creare con ago e filo le più originali decorazioni sugli arredi e sugli abiti, femminili o maschili che fossero, era abbondantemente prosperata nel Settecento. Il sistema si era tramandato fino al secondo dopoguerra, quando ancora le nostre ragazze da marito non mancavano di contribuire con le donne della famiglia estesa al fine di personalizzare, ricamando a mano il loro corredo di matrimonio, così com’era stata abitudine lungo tutto l’Ottocento. Ancora negli Anni Cinquanta, quando era tradizione che le bambine, finita la scuola dell’obbligo, si avviassero ad un mestiere: il mestiere più diffuso era quello della ricamatrice, ma ben presto la scelta cambiò indirizzo.

Ancora nel primo dopoguerra, nella nostra Città Alta, erano le “Suore dell’Orto” ad insegnare alle giovani ragazze l’arte del ricamo, per confezionare pizzi e merletti, mentre toccava alle nonne o a ricamatrici di mestiere istruire le stesse ad intrecciare complicati filet.*

Negli ultimi anni dell’Ottocento, specialmente nei mesi caldi, i raduni e gli ammaestramenti di ricamo si tenevano sull’uscio dei caseggiati, in “carrùgi” e “chintàgne”. In quelle occasioni si eseguivano anche lavori all’uncinetto, arte che ha trovato proseliti fino a rimanere vivace ancora nei tempi attuali.

La donna ricamatrice era paziente, grande lavoratrice e molto creativa. Il mestiere, tuttavia, spesso provocava danneggiamenti alla vista. All’epoca, il lavoro del ricamare non produceva grandissimi guadagni, però veniva eseguito con grande passione.

A fine Novecento, in città erano rimaste ed operavano soltanto alcune signore nell’arte dei coloratissimi punti: raso, erba e croce. Per passione, talune hanno prodotto fantastici soggetti illustrativi, altre, su ordinazione, hanno decorato arazzi o gonfaloni. Impostavano il soggetto, disegnandolo su carta velina, poi ricalcavano i contorni sul tessuto al fine di imbastire il ricamato con precisione.

Orlo a giorno, punto quadro, punto erba, punto Rodi, punto Palestrina, punto a croce, punto pieno e intaglio erano i vari nomi che si davano alle diverse agugliate impiegate Occorrevano, per eseguirle, semplici strumenti: ago, filo, ditale, forbicine e “teřà”. Questo attrezzo, il telaio, è costituito da due cerchi di legno: uno integro e fasciato d’un soffice panno e l’altro, tagliato e dotato di un accessorio a vite, adatto a serrare, ben tesa la stoffa da ricamare nel punto preciso dell’azione.

Oggi, l’industria si serve di efficientissime macchine da ricamo, con le quali produce arredi e biancheria che somiglia molto a quella ricamata a mano d’un tempo. Quindi, le ricamatrici ancora attive sono indotte a esercitare solo per il privilegio della passione.

 

 

*   Il filet era un’arte diffusa in molti paesi del Mediterraneo in epoche antichissime che si serviva di tecniche la cui origine va ricercata nella lavorazione delle reti da pesca. Il nome “filet”, di origine francese, indicava infatti la reticella sulla quale veniva realizzato il finissimo ricamo che permetteva di ottenere caratteristiche particolari.

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