Tutti coloro che vogliono contribuire al nostro progetto possono versare anche solo 1 euro cliccando sul bottone DONAZIONE.

Top Panel
Sabato, 04 Maggio 2024
A+ R A-

PASTÜRÀ E ABÉGLIE - L’apicoltura 2003 L’antico popolo Ligure era maestro nell’apicoltura. L’ape della razza Ligustica è senza dubbio la più antica, tra le razze oggi viventi, mentre è ancora tra le più attive e redditizie. E’ piccola di corporatura, ma assai docile e ben organizzata, instancabile e molto duttile verso l’ambiente. Da molti segni, rimasti vivi sul territorio, si potrebbe tranquillamente affermare che l’ape è stato tra gli animali più accomunati al popolo intemelio, il quale avrebbe potuto ispirarsi all’alveare per impostare la sua vita civile, in considerazione dei toponimi tramandati dall’antica comunità. Nel nostro parlare, l’ape è detta l’àva, mentre nelle vallate si dice l’abéglia, ma l’ape anziana è pronunciata a péglia, e l’ape regina è a màire, come il maschio, il fuco, che si chiama u pegliùn. L’arnia, o alveare, è detta l’ařbinà, che deriva dalla stessa radice di Ařbion, il nome dell’antica Ventimiglia. Il bugno villico è u burégu, che contiene u brüscu, il favo villico, mentre quello dell’arnia è chiamato a brésca. Il melario, che sovrasta le arnie moderne, era detto a meřà, perché contiene la mielata vera e propria. Il miele acquoso, ricavato da favi già torchiati e spruzzati con acqua tiepida, è chiamato l’ameřéta, la quale, fatta bollire a lungo e schiumata, si conserva, per darla come cibo alle api, in periodi di carestia. L’antica arnia, ricavata da una sezione di tronco d’albero era coperta da a lösa, una lastra d’ardesia o una ciàppa scistosa. L’arnia appena costruita si chiama u bùiu, che prima di essere posta in uso viene resa odorosa da fumigazioni di erbe aromatiche. Fin dall’antichità, l’apicoltura intemelia ha prodotto l’amé, ma anche a çéira, per le candele e la propoli che era detta a sùřvat. In tempi più recenti se ne ricava anche Polline e Pappa reale, secondo i gusti attuali. Quest’ultima è chiamata u pàstu d’a màire. Il miele è stato per secoli il dolcificante più diffuso, o per meglio dire, l’unico conosciuto, fino al Seicento inoltrato, quando dalle coltivazioni americane della canna da zucchero, è giunto in Europa l’elaborato granuloso derivato dalla sua macinazione. La bevanda alcolica dell’antico popolo Intemelio è stata l’idromele, una sorta di “moscato”, ottenuto con la fermentazione a caldo di alcuni lieviti del miele. E’ stata bevanda rituale di derivazione celtica, ma anche bibita popolare. Nell’abitudine locale di elidere e troncare il più possibile i vocaboli, l’idromele è conosciuto come u drumé, mentre nell’aspetto onomatopeico, u zunzùru è il ronzio proprio dell’alveare. Nell’alta Val Roia; l’apicoltura è stata molto attiva fin dal Medioevo, quando erano operosi i recinti per custodire le arnie, i nàixi, costruiti a forma di bacile ed ancora visibili in Val Levenza. Erano resi attivi dall’allevatore, chiamato u pàstre d’ê àve. Nell’Ottocento, il miele e la cera sono stati tra i prodotti più richiesti agli apicoltori del retroterra di Mentone ed a quelli di Sospello e di Briga. I diffusi agrumeti e la macchia alpina permettevano la produzione di un miele monoflora dolcissimo. L’apicoltura locale, ancor oggi, pur passando inosservata, presenta un’intensa attività di piccoli imprenditori ed appassionati dilettanti, producendo ottimi mieli monoflora, dalla Macchia mediterranea, dal castagno e persino dal brügu, ma non può essere paragonata ai volumi prodotti in zona fin dall’antichità. Insidiato da alcuni parassiti devastatori, negli ultimi tempi, quest’artigianato ha subito un rallentamento, che dovrebbe invece trovare nuovi adepti e rinnovati finanziamenti. L’allevamento dell’ape è oggi chiamato a favorire l’impollinazione di frutteti e di varie culture, dando una mano all’equilibrio naturale dell’ambiente; sicché, se venisse condotto, approfittando delle moderne innovazioni, può essere anche redditizio.

I nostri sponsor