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Lunedì, 29 Aprile 2024
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I DESCCIOTÉI - I vuotapozzi 1999 Ancora nel primo dopoguerra, la concimazione delle nostre campagne era eseguita usando prodotti naturali. Ogni piccola azienda agricola era corredata di una stalla, mentre in città, ogni famiglia possedeva uno stàgiu, dove teneva almeno un mulo, indispensabile per i trasporti.All’inizio dell’età moderna, in città, come nelle campagne, ogni casa era corredata di un pozzo perdente per la raccolta dei liquami prodotti da chi vi abitava.Questi pùzi négri, derivati dalle antiche apposite ciòte, erano costituiti da profonde fosse, circondate da un muro secco contenente sabbia e ghiaia, per filtrare la parte acquosa contenuta, consentendo al resto di amalgamarsi in una melma indistinta. Se il pozzo fosse stato troppo pieno, bisognava svuotarlo con le dovute cautele.L’autorità ne avrebbe controllato il rilascio soltanto per la concimazione. Il contadino provvedeva in proprio allo svuotamento, mentre per le esigenze della città era sorto il mestiere del descioté, il vuotapozzi professionista, che acquistava la merce.Questo imprenditore, di solito, era provvisto d’una carovana di muli, ma certamente non gli mancavano decine di barì per caricarli. Questa era una sorta di barilotto, in doghe di legno, della lunghezza di circa un metro, col diametro massimo di circa cinquanta centimetri ed il foro d’uso posto a metà della pancia.Era molto pratico caricarne anche tre per parte, sul basto del mulo, opportunamente attrezzato con cordami e legacci. Con popolarissimo eufemismo, le barì piene, ben in vista sulla groppa del mulo, erano chiamate e scignùre, con riferimento a certe “parvenù” del secolo.Bisognava stare attenti a cosa si convogliava nel pozzo: troppa acqua ne avrebbe danneggiato l’acidità, influendo sulla cifra ricavabile. Troppi corpi estranei avrebbero potuto alterare la flora batterica, assai delicata.Per questo, nei “gabinetti” di cortile, molto trafficati, compariva il cartello: “Gettare la carta nel cestino, per non rovinare la latrina”.Stabilita la validità del composto e misurata l’acidità, il vuotapozzi stabiliva il prezzo, anche in relazione alle richieste di mercato. Per misurarne l’acidità, il “reperto” veniva assaggiato.Non storcete il naso, in fondo si trattava di sostanze organiche semplici, che al tempo della Roma imperiale venivano usati dai cerusici, per imbiancare i denti, tanto che l’imperatore Vespasiano istituì il tributo sul commercio dell’urina.Rimestato convenientemente il primo bugliö, si infilava un dito e si portava all’esperta lingua, fino ad aver pattuito un prezzo equo. Invece, se gli strati inferiori fossero risultati troppo inquinati, il prezzo base andava ritoccato. L’abilità commerciale del vuotapozzi stava nel saper convincere il contadino, quando si riassaggiava il prodotto per la vendita.Se l’accordo fosse giunto al primo assaggio la verifica sarebbe stata sopportabile; le quantità sarebbero state assai maggiori se, per giungere all’accordo, fossero stati necessarie più “degustazioni”.A pagina 73 del volume dedicato alla Battaglia dei Fiori, capeggia la fotografia de “u Bìmbolo”, burlone degli anni Venti, in veste di vuotapozzi. A cavallo del mulo, corredato di due barì infiorate, proponeva la composizione “Fiori e profumi”.

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