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Venerdì, 19 Aprile 2024
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U CURBÉ - Il cestaio 1990 Fin dal medioevo, una delle attività artigianali tipiche del nostro entroterra è stata quella del cestaio, “u curbé”, che dalle stagionate sferze di castagni: e savàte, dai robusti giunchi: “i sgurrìn”, o dai virgulti di olivo o di nocciolo: i rùmbi, realizzava i contenitori adatti a supportare ogni sorta di attività agricola o commerciale.E còrbe, e còrbe da sciùre, i curbìn, e corbéte, i cavàgni, i cavagnéti, ma anche e banàstre e i curbùi, nonché e cùfe; ossia ceste e cestini delle dimensioni più svariate; ma anche attrezzate gerle per spalloni ed aggraziate corbeille per cerimonie, oltre a e cavagnöre, ceste oblunghe, dotate di spalliera in cuoio e adatte alla raccolta della frutta.L’attività della pesca richiedeva capaci ceste rettangolari, in strisce di castagno, dalle sponde alte un palmo, e corbe da pesca, per contenere il pesce tratto a bordo del gussu; ma giunto a terra il pescato veniva esposto in piccole ceste quadre, dai bordi poco alti e rivolti verso l’esterno, detti e spandelìne. Produceva inoltre e nasse, che servivano a catturare le aragoste.L’attrezzatura necessaria per il lavoro del cestaio era piuttosto modesta e costituita principalmente da roncole, forbici e coltelli di vario tipo per ridurre alla misura prescelta la materia prima. Una sorta di basso cavalletto di legno consentiva d’impostare la base della cesta. L’esperta mano del cestaio poi provvedeva, su questa struttura, ad intrecciare i vimini, i salici o le sferze di castagno per completare il prodotto.Dalle piccole zünchéte, per la creazione e la conservazione della ricotta e dei formaggi, andava alle grandi ceste per raccogliere, trasportare e conservare alimenti o panni, ai panieri impiegati per la raccolta e il trasporto delle uve durante la vendemmia.Realizzava, ancora i cannissi, intrecciati con canne tagliate, che nel medioevo erano chiamati vìrse, e riunite in estesi virséri, esposti al sole, servivano ad essiccare i fichi, la nostra maggiore produzione.Un’attenzione particolare richiedeva il rivestimento delle damigiane per l’olio ed il vino. Altro prodotto molto richiesto erano e spòrte, le classiche borse per la spesa, solitamente eseguite da e sportàire, che sapevano intrecciare i giunghi magistralmente.Poi venne la floricoltura ed il nostro cestaio si adoperò ad allestire le ingegnose ceste coperchiate, adatte al trasporto dei fiori, ricavate da spezzoni di umile canna, i curbìn de càna. Si presentavano robuste ed essenziali, così com’erano arieggiate, permettevano la refrigerazione e l’umidificazione costante del contenuto, con l’inserimento di pezzettoni di ghiaccio artificiale, prodotto dalla Ghiacciaia Lupi, nel Borgo.Quest’attività trovò consensi fino agli anni Cinquanta, quando sbucò la ripresa industriale, così il cartone sostituì la canna; dopo di che, ancor più clamorosamente, le materie plastiche invasero il mercato dei contenitori.Per l’umile, laborioso, esperto e capace cestaio non restava che la ridotta attività, legata al mercato d’amatore, o meglio, a quello della memoria e della caparbietà. Non si presenta molto redditizia l’attività dell’attuale cestaio, e neppure quella dell’artigiano intrecciatore del futuro. Amatoriale o semiprofessionista che sia, potrà contare su un mestiere dignitoso e ricercato, tanto quanto l’abilità artigianale maturata.Nella mitologia, la cesta rappresenta il grembo materno; se contiene lana o frutta, essa rappresenta il gineceo ed i lavori domestici, oltre che la fertilità.Come faremo quando non si costruiranno più ceste, perché la tradizione dell’artigiano intrecciatore si sarà definitivamente perduta ?

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