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Venerdì, 29 Marzo 2024
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E BÜGARÉIRE - Le lavandaie 1992 Ancora negli anni Cinquanta di questo secolo, poco più a valle del ponte, dal pietrisco arginale del Roia sgorgavano alcuni “surgentìn”, molto adatti a rexentà a bügà, dopo averla sciourà, sciorinata in acqua. Tutt’intorno le isole di ghiaia, abbastanza pulita e sgombra da vegetazione, fornivano ampi spazi adeguabili a stenditoio.Le ancora numerose bügaréire che, per mestiere, lavavano la biancheria per le famiglie facoltose, passavano al domicilio della famiglia cliente, “casana” e prelevavano i panni da lavare, per disporli in un ampio mandrigliu da grupu, che portavano poi al fiume o al lavatoio, in equilibrio sulla testa, mentre con le mani libere continuavano a fa’ a càussa, camminando. I mandrigli potevano essere anche due o tre.Una volta lavato e risciacquato il bucato, lo stendevano al sole, ìnscia giàira degli spaziosi isolotti, e lo proteggevano dal vento puntelànduřu, ancorandolo al suolo con l’uso di alcuni dei bàusi, i sassi sottostanti, posti ai bordi dei dràpi.Per insaponare il bucato si adoperavano i blocchetti cubici di sapone, quello de Marséglia, che a volte veniva imitato producendolo in casa; ricavato da un misto incredibile di oli vegetali e di grassi animali, pezzi di sugna e soprattutto morchia di frantoio; cui si univa soda caustica e pece greca, il tutto bollito in una caldaia e poi fatto raffreddare in un opportuno contenitore.Quando il sapone cadeva in acqua, per ricuperarlo, si cercava di infilzarlo con una lunga trappa puntando il fondo.Almeno una volta all’anno, i capi del corredo trattato venivano immersi nel caldo ammollo de a lescìa, accompagnata da abbondanti strati di cenere, in una tìna, la classica tinozza di legno, dotata di foro presso il fondo, oppure in una apposita lescivéira metallica, attrezzata di rubinetto.Attraverso il rubinetto si recuperava il ranno, u lesciàssu, che scaldato sempre più sul fuoco, si riversava poi sopra i panni opportunamente sistemati, con un ciclo di riempimenti e svuotamenti che richiedeva un'intera mattinata di lavoro. Allo stesso tempo l'operazione consentiva di sterilizzare i panni grazie al ranno e all'acqua bollente.A volte il procedimento era usato anche per sbiancare ed ammorbidire le pezze di lino, che allo stato grezzo erano assai ruvide e giallognole; liscivia e carbonato, con l’aggiunta d’u blö, il blu di metilene, concedevano u giàncu. Quel medesimo bianco che dagli anni Sessanta in poi venne proposto da un’infinità di detersivi industriali, molto adatti però a far precipitare il tasso di inquinamento del nostro povero ambiente.Prima dell’Ottocento, la lavandaia conto terzi operava solo in estate, col bel tempo; in seguito usava l’acqua gelida dei fiumi e dei torrenti anche nei mesi invernali., venendo così tormentate dai geloni alle mani ed ai piedi.In fase del primo risciacquo, le macchie più resistenti venivano attaccate con u baturésu il vero simbolo delle lavandaie. Quest’arnese legnoso, comodo anche come arma di difesa, veniva usato sia d’estate, sia nel crudo inverno, sempre con le ginocchia in ammollo.Ogni lavandaia, inta scciümàira, aveva attrezzato un suo posto di lavoro, costituito da una grossa pietra. Questa doveva avere la caratteristica di possedere una faccia ampia e liscia, che veniva posta obliquamente alla riva, nella corrente del sorgentino.Semmai, allo stesso scopo, veniva utilizzata un’ampia tavola, dotata di apposite liste trasversali, adatte a trattenere ben disteso il capo trattato. Le lavandaie più intraprendenti usavano anche a cascéta, ottenuta togliendo due facce ad una semplice cassa di legno, di quelle che servivano al trasporto del sapone.Le rimanenti quattro facce, rinforzate con il legname ricavato dalle due smontate, venivano internamente imbottite di paglia e vecchi stracci, allo scopo di isolare l’umidità, o comunque di rendere meno doloroso l’impatto della ghiaia sulle ginocchia.Uno dei passatempi delle lavandaie era il pettegolezzo, per il quale erano rinomate; infatti, frequentando molte case, finivano con l’essere le depositarie dei segreti di tutta la città.Molte famiglie avevano a servizio lavandaie delle frazioni lungo i torrenti viciniori. Durante la peste del 1656, fu ordinato di non mandare i panni a lavare nelle Ville, senza licenza del Capitanio, al fine di scansare il pericolo che i panni sudici di qualche casa infetta non propagassero il contagio.

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