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Venerdì, 19 Aprile 2024
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E REVENDÖSE - Le rigattiere 1998 Ancora a metà Ottocento, le classi meno abbienti si vestivano prevalentemente con roba usata, infatti, si facevano confezionare abiti nuovi soltanto in determinati periodi della propria vita, e quando le economie lo permettevano.I bambini, dopo essere stati avvolti in fasce ricavate da camice e sottovesti smesse, crescendo, indossavano abiti aggiustati, rammendati e rivoltati; in seguito, se ancora portabili, gli stessi erano ceduti a fratelli e sorelle minori.I vestiti erano dunque passati con cura da una generazione all’altra. I domestici si aspettavano gli abiti smessi dei loro padroni, mentre gli indumenti appartenuti ai defunti, che non andavano bene alle persone di famiglia, venivano venduti.Il commercio degli abiti usati era assai fiorente ed a partire dal così detto Rinascimento, a trattare questo genere erano perlopiù donne, che venivano definite e revendöse, le “rigattiere”. Tra queste donne, quante trattavano merletti, ricami e vesti sontuose appartenevano sovente alla comunità ebraica; in considerazione della scomunica nella quale sarebbe incorso un cattolico.Il mestiere procurava una certa attenzione da parte delle autorità di polizia, giacché il vestiario poteva essere facilmente rifornito dalla malavita. All’inizio dell’età moderna, in tutta Europa, il furto più diffuso era proprio quello dei capi di vestiario.L’abito era anche un indicatore dello status sociale: speciali leggi suntuarie riservavano a determinate classi l’utilizzo di certi tessuti, se acquistati nuovi. Comprandoli invece usati, chiunque poteva indossare sete e velluti, senza infrangere la legge.A fine Ottocento, u vestiméntu era l’abito maschile, mentre quello femminile veniva definito a ròba. Per i giorni feriali s’indossava l’abito d’auverì, invece u dumenegà era considerato il vestito per le feste, come quello da cerimonia era chiamato da spùsu.I benestanti portavano un abito fréscu in estate e riservavano quello càudu per l’inverno, mentre erano rarissimi i vestiti per la mezza stagione.La rigattiera, disponendo di un poco di spazio, lavorava in casa propria senza bisogno di bottega. I clienti comunicavano le ordinazioni e questa cercava di accontentarli nell’arco di qualche settimana. Dotate di un certo occhio, queste donne vedevano subito se un abito si poteva adattare ad un certo acquirente.Alcune rigattiere di provincia si recavano a far acquisti nelle grandi città, dove trovavano un maggior numero di famiglie, benestanti e borghesi, disposte a disfarsi degli indumenti che non fossero più adatti ad apparire.Con questo tipo di merce, al paese di provenienza, mettevano a segno affari migliori, contribuendo a divulgare il gusto per le “mode”, non aggiornatissime, ma comunque correnti.Nelle partite di quel tipo di abiti, erano presenti anche divise militari, le quali liberate dagli orpelli, dopo qualche piccola modifica, rappresentavano abiti popolari di buona fattura e durevoli.In provincia era in vigore anche il mercato dell’usato ecclesiastico, che per la parte maggiore trovava linfa dagli acquisti fatti dai rigattieri nelle grandi città o nelle importanti Certose.Nel mercato dell’abito usato operavano anche personaggi maschili, molto meno raffinati nella scelta dei capi da comprare, perciò più straccivendoli che rigattieri.Si chiamavano cifunéi e da questo lemma deriva il più comune ed attuale cifunàu, detto di abito piuttosto male in arnese.

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