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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Strena de Deinà 2021 

U CADREGHÉ

Il Seggiolaio 

 

I costruttori di seggiole impagliate hanno iniziato ad operare nel Medioevo, rendendo più comodo lo stare seduti. Fino ad allora ci si sedeva su panche e tuttalpiù su durissimi sgabelli. Quegli artigiani tenevano per clienti gli aristocratici e il clero, i quali prediligevano sedersi in disparte per non confondersi col popolo.

La sedia ad uso personale impagliata e fornita di schienale entrò nelle abitazioni comuni a partire dal Seicento, impegnando ben presto un gran numero di seggiolai nella produzione di sedie rustiche, poco costose, ma curandone soprattutto la riparazione.

L’attività del seggiolaio ebbe un grande sviluppo fino agli Anni Settanta del Secolo scorso, quando l’industria mise sul mercato modelli di sedia, prodotti in serie, usando resine e materia plastica, a bassi costi. Allora i numerosi artigiani itineranti, presenti in ogni dove per badare alle riparazioni delle sedie in legno, con la seduta di paglia intrecciata o di cordicella, scomparvero in breve tempo. Resistette uno sparuto nucleo di seggiolai capaci di operare sulle raffinate sedute in Paglia di Vienna.

Dei seggiolai che hanno operato sul nostro territorio ce ne ha parlato Stefano Gnech su un bell’articolo apparso nel “U Berriun” del 2013. È stato proprio suo bisnonno, già prima del 1887, che veniva a praticare quell’insostituibile arte in Riviera. In un primo tempo giungeva all’inizio dell’autunno e ritornava nell’Agordino d’origine in primavera, per riprendere i lavori agricoli, che necessariamente aveva dovuto sospendere a causa del clima. Però, già nei primi anni del Novecento, pensò di stabilirsi a Ventimiglia, aprendo un magazzino di seggiolaio in Vico Sant’Agostino, proprio sotto l’abitazione che si era procurata.

Quel magazzino divenne punto di riferimento per i suoi compaesani che andavano a svolgere la professione di seggiolai in Francia. Li ospitava, procurava loro franchi francesi, rifornendoli inoltre della paglia necessaria al lavoro, che in Francia non si trovava.

Dal magazzino, ogni giorno, si dipartiva per praticare la sua arte nelle frazioni e in qualche borgo intemelio, dove era molto apprezzato. Dal 1923 introdusse nell’attività l’opera del figlio, che aveva otto anni. Così il nonno di Danilo, seguendo il padre, raffinava il mestiere. Divenne presto un affermato “cadreghé”, tanto che nel 1949 il bisnonno lasciò a lui l’attività per tornare nell’Agordino a trascorrere la vecchiaia.

Per farsi vedere, nelle piazze delle città e nelle frazioni, lanciava il grido di “cadreghé”, derivato dal nome agordino della seggiola: cadréga. Allora noi lo abbiamo imparato a chiamarlo così, anche per non confonderlo con il “caregà”. Sarebbe stato più consono int’u nostru parlà, dove la seggiola si chiama caréga. Tuttavia, il caregà, da secoli, era già impegnato a fare il ciabattino.

I seggiolai portavano con loro una cassetta contenente i coltelli, lame e il trapano. Su quella cassetta sedevano durante il lavoro. Frattanto, in un borsone tenevano i giunchi, la cordicella o le foglie di granturco arrotolate, atte a realizzate l’impagliatura. Per quest’uso, da sempre, i seggiolai raccoglievano, per poi intrecciare: la carice, i giunchi e persino la gramigna che trovavano lungo i fossi e intorno alle pozze d’acqua.

Quando mancavano le sedie da aggiustare, si fornivano di legno di acacia, oppure di gelso o ciliegio, che tagliavano in loco e prontamente lavoravano ricavando le spalliere, le gambe e le stecche.

Per realizzare sedie nuove queste parti devono essere di legno fresco. Nelle gambe si devono praticare i fori che riceveranno le spalliere, le stecche e i regoli. Questi ultimi devono essere di legno stagionato, quindi il seggiolaio li portava con se’, già fatti, dentro il borsone con la paglia. Una volta assemblate le parti, incastrati i regoli ed eseguita l’impagliatura, era garantita una tenuta sorprendente, senza uso di alcun collante. In una giornata di lavoro riuscivano a costruire ed impagliare fino a sei sedie.

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