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Venerdì, 29 Marzo 2024
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U PEGURÀ - Il pecoraio 1991 Nell’ultima metà degli anni Settanta, i superstiti eredi della tradizione pastorizia intemelia cedettero le loro residue greggi ad avventurieri; resi in quel momento facoltosi da appositi contributi della Comunità Europea, in quel campo.Questi, una volta acquisite le greggi, ne fecero carne da macello, eludendo i controlli comunitari e godendosi, indisturbati, i proventi della malefatta; invece di incrementare l’allevamento, com’era nelle intenzioni del legislatore. ... Forse.Le cose andarono un po’ meglio oltre confine, nell’alta e media Val Roia, dove i controlli governativi francesi riuscirono a portare a buon fine le direttive comunitarie.Visti i fatti, se oggi si vuole trovare u pegurà, il pastore intemelio della tradizione, si deve cercare soltanto attorno alle ricorrenti falde del Monte Bego, ma non più attorno al Toraggio o al Saccarello.In mancanza di attività locale, i fertili pascoli del nostro entroterra sono stati visitati da una serie di pastori sardi che portarono seco pecore di razza isolana, neanche troppo adatte al nostro clima ed al nostro territorio. Una particolare razza di pecore si è adattata, nei secoli, all’allevamento nel nostro entroterra: a tendàsca. Questa féa bizzarramente mantiene all’interno della cavità cranica certi vermi parassiti, che in alcuni casi portano le povere bestie a comportamenti anomali ed asociali.Ciò nonostante, la resa lattiero-casearia del gregge è sempre stata buona, concedendo ad un pastore, mediamente fornito, di mantenere un’esistenza decorosa, seppur falsata dal costante impegno da dedicare alla sciòrta.Ottime ricotte, stupende tùme, succose cagliate, ma soprattutto il vivace brùssu, hanno sempre caratterizzato la produzione del gregge intemelio.Fin dall’antichità, queste greggi hanno praticato u ghidàgiu, la transumanza, anche se abbastanza limitata nelle distanze percorse. Percorrevano a piedi le antiche draire, segnate per secoli dal loro passaggio, che dal Saccarello e dal Bego conducevano alle falde marine del Gramnmondo, di Belenda, di Santa Croce, di Montenero, del Bignone e così via fino alla Valle del Maro ed il Dianese.Nel corso della stagione fredda, i pastori svernavano in vicinanza della costa marina, conducendo sovente le pecore sulla spiaggia, a sařinà, per aumentare l’assimilazione dello iodio. Le zampe, ammaccate da lunghi periodi di pastura su terreni rocciosi, trovavano gran sollievo con l’azione dei bagni d’acqua salata.Durante la transumanza, succedeva che i proprietari di prati, ma anche di oliveti, concedessero il pascolo ed il pernottamento alle greggi, al fine di stercurà, cioè di provvedere alla concimazione del terreno e nel caso alla falciatura delle àire.Le greggi composte interamente da capre, più difficoltose da gestire, praticavano in maniera ridotta la transumanza, preferendo cambiare pascolo in zone più circoscritte, anche se più impervie.Tra i nostri pastori, a féa è la principale componente del gregge, un certo numero di fée vengono fecondate da u mutùn, provocando la nascita de l’agnélu. Anticamente il montone veniva detto l’aréu e possedeva corna più attorcigliate.La capra sprovvista di corna è detta mùta; quella di due anni, pronta per la prima monta, si chiama a bìma. Il maschio de a cràva è u bécu, genitore de u cravéu. Il becco possiede un puzzo caratteristico, particolarmente apprezzato dalle femmine, detto u sbrégu.

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