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Giovedì, 28 Marzo 2024
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I PESCAVÙI - I pescatori 1987 La nostra è anche una città di mare, certamente, pur non essendo più da considerarsi una città dai traffici marittimi, che sfrutti il mare quale risorsa naturale.Fino all’inizio del XIX secolo, un certo movimento navale ha continuato a persistere sulla spiaggia di Ponente, ultimo baluardo marinaresco. Così spiaggiata, la vita economica marinara ha trovato spazio fino agli anni Cinquanta, sostenuta soltanto da ”i pescavùi”.Una categoria costituita dalla forza lavoro di intere famiglie, a tu per tu con il mare, le quali scendevano in acqua con i caratteristici gussi, sia dalle spiagge di levante, sia da quelle di ponente, della foce.Tiravano a secco le imbarcazioni a forza di braccia, o con l’aiuto di rudimentali argani a mano, facendoli scivolare sui parài, consunte travi ingrassate, che poste di traverso alla pancia del gozzo ed abilmente alternate, costituivano una agevole pista per la chiglia del natante. Soltanto nell’ultimo dopoguerra la maggior parte dei gozzi venne dotata d’un motore a scoppio, in precedenza si remava a forza di braccia, usando minimamente il vento, attraverso le vele latine.In tempi lontani, la pesca notturna si svolgeva alla luce de a faixéla, una vera e propria fiaccola di legno resinoso. In seguito, i pescatori si sono avvalsi di complicati bracieri, posti esternamente al natante, ma ugualmente provocatori d’inopportuni incendi, fino a quando non hanno iniziato ad usare la tecnica delle lampade a carburo. Successivamente, l’avvento del gas propano, in bombole, concesse ai pescatori l’opportunità di ammodernare e lampàre, per la pesca notturna delle acciughe, con maggior sicurezza.L’azione del pescare avviene con l’uso di attrezzi, quali: i trémari, i paràmiti, a fiřùsa, oppure reti quali a sciàbega o u tartanùn e lo speciale gianchetà; ma anche e manàte e u ressàgliu. Inoltre si calano e nàsse per catturare gritàgiu od aragoste, mentre, con a fùsciuna, si fiocinano o arpionano abbondante robamòla.Le sciàbeghe più piccole si chiamano: sciabeghéli, rissöre e rissörui. Con queste reti si pescava presso la riva, effettuando ina càřa, partendo da Levante o da Ponente, a seconda del gioco delle correnti.Queste venivano rilevate e misurate con l’ausilio di una nàta da curénte, un pezzo di sughero zavorrato. Stivata la rete nel gozzo, si andava in càřa, rilasciando a terra una delle funi per il recupero. Il gozzo compiva un vasto arco fino a raggiungere a föransa, il punto di quel tratto di mare dove la giusta profondità raduna i banchi di pesce. Calato allora il sacco finale, si chiudeva il cerchio tornando a riva, da dove la rete veniva tratta in modo uniforme.Tra gli accessori, si portano a bordo l’òrsa, a nàta da curénte, come segnali, oltre a e corbe da pesca, basse ceste quadre, fatte con sferze di castagno, per stivare il pescato. Un bastone armato di gancio è l’arpéta e u salàbru è il retino che serve a prelevare il pesce a bordo.Giunto a terra, il pescato veniva diviso per qualità e messo in mostra in ceste quadre, molto basse e con i bordi inclinati esternamente, dette e spandelìne, che le pescivendole portavano, coi loro carretti spinti a mano, in ogni angolo della città, accompagnandosi con quelle pittoresche grida convenzionali di richiamo all’acquisto del pescato.All’inizio della stagione di pesca, l’armatore di uno o più gozzi riuniva i pescatori che riteneva necessari per una buona squadra; assegnava ad ognuno il proprio compito e, appena il tempo era propizio si salpava. Nell’attesa si ripassavano le reti, rattoppando gli strappi, per poi disporle a bollire in un grosso paiolo, con acqua impregnata di cortecce resinose di pino, a rüsca; che oltre a fargli assumere il caratteristico colore bruno, più adatto ad ambientarsi in acqua, rendevano il filo più resistente.Negli anni Sessanta, il pescatore nostrano passava a dedicarsi alla pesca di tipo industriale, coi pescherecci, oppure si ritirava dagli “affari” in modo definitivo.Numerose famiglie di pescatori giungevano dal meridione italiano, riprendendo l’arte della pesca dalle piccole barche, oppure la caccia al pescespada, in altura.Dopo qualche decennio, anche quest’attività professionale è svanita, le stesse specialità pescatorie sono praticate, in massima parte, da dilettanti evoluti, oggi riuniti in associazioni che gestiscono tratti di litorale come ricovero delle imbarcazioni.

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