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Giovedì, 28 Marzo 2024
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U STRAPUNTÉ          Materassaio      XXXIV        2018

 

Non sono stati pochi “i strapuntéi”, o “e strapuntéire” che hanno esercitato sul nostro territorio fino agli Anni Settanta. Operavano nella loro bottega artigiana, dove custodivano tutti gli attrezzi necessari a costruire materassi nuovi, certamente accessoriati secondo gli usi dell’epoca. Agivano quasi sempre su ordinazione; singoli o matrimoniali su misure precise; oppure, singoli normali da immettere sul mercato. Di strapùnte comuni un buon artigiano avrebbe potuto produrne fino a sei al giorno, però, limitava i depositi. Quando si presentava la bella stagione, questi artigiani preferivano affrontare il picco delle richieste di rigenerazione dell’usato in modalità itinerante, a domicilio.

Di questo tipo di tecnici, negli ultimi decenni del secolo, l’evoluzione dei materassi a molle industriali, ne ha lasciato attivi pochissimi. Più di recente, l’introduzione del lattice nel sistema ha contribuito ad eliminarli quali artigiani, per indirizzarli nella distribuzione del prodotto in serie.

Nel secolo scorso, i materassi di lana erano una ricchezza, si tramandavano, si ereditavano, stavano in casa per generazioni; ma venivano mantenuti in efficacia con l’esperta artigianalità dello strapunté. Con l’arrivo del bel tempo a giugno, fino al giungere delle frasche settembrine, era usanza necessaria ridare morbidezza al materasso: “resciouràřu”. Infatti, dormendoci sopra durante i lunghi periodi del freddo si era appiattito, o meglio “atuvàu”: privato della morbidezza.

Con la città non ancora soffocata dal traffico automobilistico e la relativa sosta bordostrada, in considerazione della polvere provocata dalla sua azione rigeneratrice, lo strapunté attrezzava allora il suo laboratorio all’aperto, nel primo slargo utile sotto il domicilio del cliente. Vi trainava il triciclo o il carretto carico di due cavalletti, di qualche asse, dell’occorrente per cardare; non dimenticando la borsa dove custodiva aghi, forbici e l’indispensabile metro.

 Smontava una o due strapùnte e le rimontava il giorno successivo. Nel giro di una settimana, una famiglia di medie dimensioni, tornava a sogni d’oro. Non restava che ristorare i “sümié”, e forse l’imbutìa, o qualche cröviléitu legiu; indi, andava ad operare per un’altra famiglia.

Nei voluminosi letti a cassettone del Primo Novecento, per sostituire la base della lettiera costituita da numerose strapùnte in crine, il complicato sümié, ancorava le sue lunghe molle su una serie di traverse lignê. Servendosi di apposito cordino, lo strapunté congiungeva le sommità fluttuanti delle molle, creando un’unica superficie bombata dove applicava una sottilissima strapùnta di crine vegetale, che avrebbe accolto e sostenuto il rigonfio materasso in lana; rendendo il tutto più arioso e duttile. Quando era usato fuori del cassettone quell’attrezzo era detto utumàna.

Scucita la strapùnta atuvà si estraeva la lana, che veniva lavata e stesa al sole, dove asciugava assieme alla fodera. Seguiva quindi la cardatura, che di recente si eseguiva con una apposita macchina basculante; o con dei semplici e manuali “cardassi”, ma in precedenza era eseguita con semplici mazzetti secchi di cardo e veniva detta “sgarzatüra”.

Quando era opportunamente sgarzà, lo strapunté reintroduceva i morbidi fiocchi di lana nella fodera e rimodellava il tutto ricucendo i bordi con l’uso di lunghissime “aguglie da sacu”, con le quali creava anche tiranti di filo trattenuti da bottoni di tela su entrambi i lati del materasso, che lo stabilizzavano.

Fino a quando sul nostro territorio si conduceva la transumanza delle greggi, la strapùnta da una piazza conteneva poco più d’una decina di chili di lana di pecora, in seguito si importava una quantità simile dall’Inghilterra.

Per l’insaccamento lo strapunté partiva da un angolo, riempiva la prima metà per poi ripetere i medesimi atti dall’angolo apposto. Per ogni materasso, teneva però presente l’età, l’altezza e il peso della persona che avrebbe dovuto usufruirne, praticando le dovute piccole modifiche. Ricucita interamente la sacca, passava alla trapuntatura realizzata con l’uso di aghi lunghi fino a 30 cm.

Iniziando, il filo veniva fissato con un nodo scorsoio in sette punti sulla lunghezza del materasso, in due punti sulla larghezza ed infine in sei punti centrali, tutti abbelliti da un fiocchetto di tela. In seguito, il bordo, reso omogeneo tramite una adeguata punzonatura, veniva fissato con una cucitura a vista “â françese”.

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