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Giovedì, 28 Marzo 2024
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TEMPI D’AUTUNNO  Ognissanti

Fin dall’antichità, per alcune popolazioni, l’inizio di novembre era considerato un capodanno. Presso i Celti ad esempio, finita la stagione dei frutti e messe a dimora le semenze dei cereali destinate a germogliare in primavera, il contadino poteva tirare il fiato, dedicandosi a lavori alternativi.

 

Questo periodo coincideva con il “Samuin”, che era appunto il loro Capodanno. E siccome per questo popolo il giorno (cioè la notte e il dì) aveva inizio col calare del sole, l’ultima notte d’ottobre aveva un significato particolare. Secondo tali credenze, in questa notte, i trapassati si mettevano in comunicazione con i vivi attraverso una di quelle “porte cosmiche e atemporali” attivate dalle conoscenze magiche dei Druidi nei periodi critici dell’anno e per questo motivo, in quei giorni, i Celti frequentavano (come ancor oggi fanno gli irlandesi) i cimiteri e li colmano di fiori e lumini.

Queste usanze, trasportate nel Nord America dagli emigranti irlandesi, si sono evolute in Hallow’en, la notte degli spiriti, in cui ci si maschera da strega, da fantasma o da scheletro e si vaga per la città cercando di spaventare ridicolmente la gente. Si attende anche che la “Grande Zucca” prenda forma nel vicino giardino, mentre i bambini, anch’essi in maschera, pretendono una strenna dal vicinato, minacciandolo scherzosamente.

In questi ultimi anni, attraverso la promozione operata dal circuito festaiolo delle discoteche e una forma di colonialismo culturale americanizzante, Hallow’en è tornato in Europa ed anche tra noi, o forse non se n’era mai andato definitivamente.

La complessità del “Samuin” si era trasformata, nel cristianesimo, in due celebrazioni concomitanti e assai simili, la festa d’Ognissanti e la commemorazione dei Defunti.1

Ancora nel Tardo Medioevo, anche tra noi era viva l’antica usanza di recarsi nei cimiteri corredati da abbondanti cibarie per banchettare, in allegria, sulle tombe, dividendo coi defunti alcune porzioni.2

Le autorità faticarono moltissimo ad estirpare questo tipo di ritualità, considerandole foriere di insane paure ed in ferali tristezze, ma non cancellarono del tutto quel tipo di dolcetto realizzato con albume d’uovo e mandorle, che chiamiamo ossu da mortu (retaggio appunto delle usanze appena accennate); mentre, in Alta Val Nervia, non è mai cessata la preparazione del gran pistau, un cibo conservabile, usato dai pastori in transumanza, che nell’occasione veniva lasciato sul tavolo per favorire il viaggio delle anime dei defunti.

Ancora nell’ultimo dopoguerra, nei villaggi delle nostre vallate, la sera della vigilia di Ognissanti, prima di coricarsi i bimbi ponevano un pezzetto di pietanza dolce sul bordo del letto o sotto il guanciale, affinché le anime dei morti, che quella notte venivano a trovarli, potessero placare la loro fame.

San Martino

Il Samuin celtico durava una decina di giorni, così come perdura nel cristianesimo, che dopo undici giorni fa seguire la festa di San Martino, vescovo di Tours, la quale indubbiamente mantiene la funzionalità del capodanno dato che, un tempo era considerata festa di precetto e veniva celebrata con fiere e banchetti innaffiati dal vino nuovo pronto proprio in questi giorni.3

Tra i menù dei banchetti era sempre presente l’oca, giacché quest’animale è attributo del Santo. La popolarità del vescovo di Tours è derivata dal collegamento con le antiche tradizioni celtiche e dai rituali druidici che egli contribuì ad estirpare.

Il fatto che fosse stato un soldato ed un cavaliere, ed avesse deciso di tenere per sé una corta mantella, dividendola col povero infreddolito, aveva contribuito a renderlo erede del culto verso una divinità celtica che era considerato cavaliere del mondo infero, patrono della vegetazione che potrà sbocciare soltanto attraverso la morte “invernale”, nella semina.4

A proposito, l’oca, sempre presente nell’iconografia del Santo di Tours, è attribuita al culto degli inferi. Le oche, migranti in questo periodo dell’anno, da nord a sud, erano considerate dai Celti come messaggere dell’Altro Mondo; e anche per questo motivo oche sacre accompagnavano i pellegrini verso i loro santuari nei boschi.5 

La palma dell’oca sarebbe stata dipinta sul petto degli artigiani nomadi dell’Ançien Régime, stilizzandosi via via in conchiglia e diventando anche il simbolo dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela, in origine santuario celtico.6

Il segno della palma d’oca fu così sostituito con le bianche conchiglie a pettine come quelle che i viandanti medievali raccoglievano sulle spiagge di Finisterre, a memoria dell’avvenuto pellegrinaggio.7

Uno dei percorsi della via franchigena transitava proprio sul nostro territorio; è d’importanza minore di quella che scavalca le Alpi Cozie tra il Piemonte e il Delfinato, ma è stata pur sempre uno dei percorsi più graditi dai pellegrini medievali, che compivano il viaggio verso Compostela.8

Era inoltre tradizione accogliere con distinzione tutti i pellegrini, sia che si recassero a Roma, sia alla Palestina, tanto che nei nostri paesi si sono accasati molti “Palmero”(portatori di palme) e persino dei “Romeo”(pellegrini diretti a Roma), mentre trovarono qualche difficoltà, fino al secolo XII, i pellegrini diretti a Compostela, i quali dovevano evitare la città scegliendo percorsi alternativi lungo i crinali.9

I Duzàiri

Le popolazioni celtiche consideravano quelli che oggi sono i primi undici giorni di novembre, aggiunti all’ultimo di ottobre, l’Inizio del Tempo. Ancor oggi, i “celtici” abitanti di Sulmona, in Abruzzo, chiamano quei giorni Capetiémpe e danno loro il significato divinatorio per stabilire la meteorologia per i mesi dell’anno che verrà.

L’originalità divinatoria dell’antico capodanno celtico stava nell’aver intuito che, nel periodo da noi chiamato l’ “estate di San Martino, vi era la possibilità di prevedere la meteorologia dei mesi successivi.

Dai proverbi apprendiamo che l’Estate di San Martino” che dura circa tre giornate, potrà giungere cinque giorni prima dell’undici novembre, ma qualche volta arriva cinque giorni più tardi.  Se giunge cinque giorni prima, considerando il trenta di ottobre quale gennaio, abbiamo: febbraio al due, marzo al tre ed il sei sarebbe giugno, inizio dell’estate; dopo tre giorni di “estate” ecco settembre ed il peggioramento del tempo. Potremmo quindi concludere che i primi giorni di novembre sono più adatti alla divinazione dei duzàiri, visto che nei primi giorni di gennaio l’estate di San Martino non ci verrà in aiuto. Ne consegue che gli Intemeli chiamavano duzàiri i primi undici giorni di novembre, consideravano San Martino un capodanno, all’interno del loro “Samuin” che forse chiamavano Sümun. Questo termine mi era stato riportato da pastori (praticanti la transumanza ovina in Alta Val Nervia) che lo assegnavano alla ritualità del calcinare, in certe occasioni dell’anno, la soglia ed i limiti bassi degli stipiti sulla porta dell’ovile, allo scopo di depurare l’intero gregge, al passaggio.10

Santa Bibiana e Santa Barbara

Durante l’inverno, le ritualità popolari hanno lo scopo di conservare la speranza, nell’annuncio del ritorno della bella stagione e dei prossimi raccolti, nel periodo che la terra è gelata.

Santa Bibiana, martire a Roma il tre dicembre del 362, sul nostro territorio è protagonista di un rinomato proverbio sulla qualità dell’inverno incipiente.

“Se ciöve â Bibiàna, ciövirà caranta giurni e ina setemàna”, mette in predicato tutto il periodo delle festività durante il solstizio, fino al giorno nel quale si commemorerà Sant’Antonio Abate, che notoriamente, con San Sebastiano, fa già intravedere la buona stagione.

Gli attributi “previsionali” della nostra Bibiana, in Provenza vengono gestiti da Santa Barbara, la santa patrona degli artiglieri e dei vigili del fuoco, invocata per la sua protezione dai fulmini, da migliaia d’anni.

Nei villaggi intemeli, oggi oltre confine, la sera del 4 dicembre fanno posare dai bimbi in due o tre piatti fondi, guarniti di ovatta, una lettiera di semi di frumento, che verranno copiosamente inumidite tutti i giorni, per la durata di venti giorni, conservandoli in un luogo buio.11  

L’essenza dell’operazione è quella di poter verificare, il 24 dicembre, nel corso del Cenone, che il “frumento bianco” sia venuto bene (quan lou blad vèn ben tout vèn ben) e che i piatti di Santa Barbara possano decorare la tavola famigliare ed in seguito la crèche, il presepe provenzale, almeno fino a Sant’Antonio.

Anche da noi Bibiana (ed in Provenza Santa Barbara) è stata incaricata ad attendere per gennaio l’intervento di Sant’Antonio e di San Vincenzo, nonché per la Candelora, quello di Notre-Dame-du-Feu-Nouveau.

Sant’Ambrogio

Per dare inizio formale al periodo liturgico dell’Avvento, pur essendo questa una ricorrenza testimoniata fin dal secolo VIII e fissata al nove dicembre, soltanto dalla metà dell’Ottocento si celebra l’Immacolata Concezione quale festa di precetto, in molte parti d’Europa.

Nel nostro territorio l’otto dicembre, giorno oggi dedicato dalla Chiesa di Roma all’Immacolata Concezione, si è sempre commemorato, e con enfasi, Sant’Ambrogio, poiché la nostra diocesi è stata suffraganea di quella milanese fino all’anno 1806, quando ancora molti dei nostri vescovi venivano scelti fra il clero della Chiesa ambrosiana.12

Nominato arcivescovo nell’anno 374, Ambrogio determinò lo sviluppo di una ritualità, che in suo onore viene si chiamato “rito ambrosiano” e si distingue da quella romana sia nel calendario che nella liturgia.  Il calendario prevede sei domeniche per l’Avvento, che inizia a metà novembre posticipando così il tempo quaresimale, il quale non decorre dal mercoledì delle Ceneri, ma dal lunedì successivo, inglobando nel Carnevale una domenica che noi continuiamo ancora a festeggiare col nome di Rumpipignata.  La particolare liturgia della Chiesa milanese-ambrosiana è sempre stata arricchita da inni, dal canto salmodico e da cerimonie introdotte dall’Oriente a partire dalla fine del IV secolo.13

 Il canto del rito ambrosiano è essenzialmente diatonico e si giova dell’antifona, artificio che consente la soppressione del solista a favore dei due cori, proprio come sentivamo nelle nostre chiese, ancora nell’immediato secondo dopoguerra e come in Ceriana la popolazione intona i suoi famosi “Miserere”.  Sempre nel rito ambrosiano, fino al Quattrocento, il nostro battesimo veniva celebrato per immersione e non per infusione e, durante gli uffici, il nostro celebrante non si rivolgeva mai al pubblico.14

San Nicola e Santa Lucia

Il culto che la nostra gente di mare ha riservato, lungo tutto il medioevo, a San Nicola, vescovo di Mira (in Asia Minore), aveva rilevato l’influsso mitologico di Kronos prima e poi del dio latino Saturno, antichi protettori dei naviganti.

La chiesetta, posta fuori le mura alla Marina (qui a Ventimiglia) e oggi dedicata a San Giuseppe, era in origine consacrata a San Nicola, o Nicolò (Nicolaus), e frequentata quasi esclusivamente dai marittimi e dalle loro famiglie. Proprio nelle feste, i marinai tenevano come protagonista il buon Nicolò e, nell’occasione di battesimi, il nome del santo era tra i più utilizzati.

Il rapporto che univa il culto del santo d’origine orientale con il Solstizio d’inverno e con il Natale si basava su reminiscenze dei “Saturnali”, festività precristiane che precedevano i capodanni.

Il giorno 6 dicembre, i seminaristi usavano eleggere fra loro un episcopellus, il quale sarebbe poi stato protagonista d’una cerimonia parodistica che trovava svolgimento in chiesa il 28 dicembre, alla festa dei  Santi Innocenti, tra i flussi di un’atmosfera carnascialesca che la Chiesa ha tollerato fino al secolo XV.15

L’effigie stessa di San Nicolò è dotata del bastone vescovile ricurvo, si rifaceva alla falce impugnata da Saturno, simbolo accostabile al lituus, il bastone ricurvo, segni entrambi di vaticinio e di regalità che prefiguravano la divinità come emanatrice di una volontà superiore celeste e autrice occulta del grande gioco del cielo cosmico: da ciò si intuisce la stretta connessione fra Saturno e il gioco d’azzardo, ma ancora fra San Nicolò, novello Saturno, e i vari giochi, quasi al limite dell’azzardo, praticati nel periodo decembrino, non ultimo e pur tuttavia aggregante gioco della tombola.

Chiudiamo questa breve disamina sui santi del mese di dicembre particolarmente legati ad antiche tradizioni con le cerimonie dedicate a Santa Lucia, la cui ricorrenza cadeva, come popolarmente si diceva, nel “giorno più corto che ci sia” a causa dello sfasamento tra il calendario giuliano e l’anno solare.

Questa data, ancora nella prima metà del secolo XIV, coincideva col Solstizio invernale e tale coincidenza contribuì a fissare le funzioni della santa nella luce materiale e nella vista, come se si trattasse di un’epifania dell’aurora.

L’accensione di molte candele, aggiunte poi alle varie chincaglierie dell’albero di Natale ma inizialmente dedicate espressamente alla santa, derivava dai riti celebrati in occasione del Solstizio. In questi riti non sarà estranea la particolare pratica culinaria di Buggio, dove, per la vigilia del 13 dicembre, viene nuovamente preparato il gran pistau, ricetta tipica di questo periodo autunnale.

E i due santi decembrini, San Nicola e Santa Lucia, si dividono il compito di distribuire le piccole strenne ai bimbi buoni: in alcuni paesi del nostro entroterra le porta il primo, in altri le porta la seconda.16

NOTE:

 (1) La celebrazione d’Ognissanti fu resa obbligatoria, in tutta la Chiesa d’occidente, da papa Sisto IV, nel 1475. L’istituzione della festa, caldeggiata da Alcuino, consigliere di Carlomagno, per estirpare le usanze celtiche, fu istituita da Ludovico il Pio, per richiesta di papa Gregorio IV, nell’anno 830. La commemorazione dei defunti fu stabilita nel X secolo, ad imitazione dei bizantini, furono i monaci benedettini che ne introdussero la pratica.

(2) L’usanza di banchettare nei luoghi di sepoltura era in auge anche fra gli Etruschi; mentre i Romani, nelle Parentalia, celebrate dal 13 al 21 febbraio, offrivano sul sepolcro familiare farina di farro e sale, con pane inzuppato nel vino. L’ultimo giorno, detto Feralia, anche loro si radunavano presso il sepolcro per offrire libagioni. Inoltre, i primi cristiani celebravano la messa sulla tomba di famiglia, ma nel IV secolo, la Chiesa proibì sia quelle messe sia i banchetti funebri.

(3) In molte parti d’Italia, come la Lombardia ed il Piemonte, per San Martino cominciava l’attività dei tribunali e delle scuole, ma soprattutto si pagavano fittanze ed erano rinnovati i contratti agrari, quindi sovente si traslocava.

(4) Taranis (Thor) “dio buono”, detentore del tuono. Divinità druidica con funzioni sul sacerdozio. Riconoscibile per l’attributo della ruota. La ruota, assieme alla sua mantella corta e l’oca sono attributi, poi ereditati da San Martino.

(5) Come il cigno, l’oca è un animale benigno associato alla Grande Madre ed alla “discesa verso gli inferi”. Appare spesso nei racconti folklorici ed è collegata col destino, com’è dimostrato dal “gioco dell’oca”, che è una derivazione profana, spaziale e temporale del simbolo, rappresentando i pericoli e le fortune dell’esistenza, prima del ritorno al seno materno. Si credeva che la carne d’oca aumentasse il desiderio amoroso e la sua bile era considerata un mezzo per aumentare la potenza virile.

(6) Nell’antichità, i primi ad arrivare in Galizia furono i Celti, seguiti dai Cristiani. Questo dualismo religioso ha avuto un forte ascendente sul territorio. La coesistenza di tradizioni ha fatto sì che lungo le strade si trovino svariati simboli che le ricordano. I cruceiros - crocifissi di granito posti lungo le strade - indicano luoghi di miracoli religiosi ed efferati crimini; gli hórreos - tipici depositi di granturco costituiti da blocchi di granito sorretti su palafitte di legno e riportanti sul tetto una croce celtica - proteggono i cereali dall’umidità e dai roditori. Ogni casa ne possiede uno a testimonianza del forte attaccamento al passato. In Francia, è noto come il Cammino di Compostela esistesse già dai tempi dei Celti, quindi prima dei Romani, ed era proprio un pellegrinaggio fino all’Oceano, alla fine del mondo, limite oltre il quale l’uomo non poteva andare con le sue forze. Era un percorso verso il luogo in cui il Sole andava a morire, che poteva essere seguito anche di notte, procedendo nella direzione indicata dalla Via Lattea nel cielo. Anche prima della “scoperta” della tomba dell’Apostolo Giacomo, nel IX secolo, c’era questa ricerca, pagana senza dubbio, e forse proprio per questo più ricca di magia e di mistero, della Vita dopo la Morte, questo percorso inverso dell’esistenza. Ed insieme alle connotazioni mistiche si possono trovare ora nel Cammino, e in questi luoghi confondersi, quelle pagane ed esoteriche, legate anche alle sette di costruttori ed alchimisti e prima ancora alle ancestrali tradizioni galliche e vichinghe. Louis Charpentier, propone una spiegazione al fenomeno del pellegrinaggio di tutta Europa verso la Galizia, cominciato nell’anno 813: - Il luogo di Campus Stellae era sacro ai Celti, fino alla sepoltura di Priscillano ed al successivo ritrovamento delle spoglie di San Giacomo. Le numerose Madonne nere sedute, con un frutto in mano o il Bimbo tra le braccia, che costellano la Via Lattea, per giungere a Compostela, sembrano alludere alla Grande Madre celtica - (citato in bibliografia). Se si considera che i Celti usavano trasportare su una navicella di pietra, o carro navale, i resti mortali dei loro sacerdoti, per seppellirli in luoghi sacri, viene a riscontro la grande pietra cava oscillante, custodita nel santuario galiziano di Mungia, l’antica Iria Flavia. Perché, nell’antichità, il viaggio dei pellegrini non finiva a Compostela, ma proseguiva fino a Iria Flavia, o a Finisterre, in riva all’Oceano, dove i Celti avrebbero celebrato i loro riti di rigenerazione, proprio nei primi giorni di maggio.

(7) Che cosa può essere la conchiglia, del tipo pecten, che oggi è simbolo del pellegrinaggio verso la Galizia, se non una stilizzazione della palma dell’oca, affermato segnale rituale celtico ? San Martino, così intransigente nell’evangelizzazione dei Celti, si è trovato a recuperare molti degli adattamenti, a volte inconsci, concessi ai convertiti per non sradicarli dalla tradizione.

(8) Dai documenti pubblicati da Laura Balletto, sui cartolari notarili dell’Amandolesio, rogati a Ventimiglia tra il 1256 ed il 1264, apprendiamo che: quando per un qualsiasi motivo, un pellegrino non avesse potuto proseguire il suo viaggio verso Compostela, con atto notarile, pagava un volontario che finisse il viaggio per lui, assolvendo al voto e riportando le insegne del pellegrinaggio al titolare, che lo attendeva nella nostra città. Ventimiglia nel Duecento attraverso gli atti del notaio Giovanni di Amandolesio, in "Rivista di Studi Liguri", L.1-4, 1984, pp. 39-53.

(9) La chiesetta di San Rocco, a Vallecrosia, quella di San Giacomo, sul crinale di Ciaixe, le rovine della grangia sottostante i Martinazzi, lo stesso Santuario delle Virtù, San Rocco presso Bevera, Sant’Antonio sul crinale della valle di Latte e la perduta chiesuola di San Gaetano, sulla Spiaggia di Latte, potrebbero essere un percorso segnato per i pellegrini, anche con riferimenti visivi, che andrebbe studiato con approfondimento.

(10) La glossa ha una così profonda assonanza con Samuin, che ritengo possa derivare proprio da reminiscenze celtoliguri, abbinate a ritualità purificatrici delle anime dei defunti, di passaggio attraverso “porte atemporali”.

(11) La ritualità è ispirata ai «Giardini d’Adone», che in Asia Minore erano seminati nel bel mezzo dell’estate per sfidare la canicola. Sul nostro territorio il medesimo rito viene messo in opera tre settimane avanti il Giovedì Santo, per decorare il Sepolcro.

(12 Il 9 aprile 1806, papa Pio VII staccava la cattedrale di Ventimiglia dalla metropolitana di Milano per farla suffraganea dell’arcidiocesi d’Aix in Provenza. Il 30 maggio 1818, lo stesso Papa staccava la nostra diocesi da Aix, per legarla definitivamente all’arcidiocesi genovese. Una maggioranza di vescovi indicati da Milano si osserva fino alla metà del Trecento, poi una parentesi francese, lo Scisma e dal Quattrocento in poi è Genova ad imporre il suo clero.

(13) Si afferma che, il rito ambrosiano segua cerimonie originali romane antiche, quali quelle portate a Roma da Pietro, del resto l’ambrosiano non accettò alcune variazioni al rito romano, che furono proposte nei secoli, specialmente quelle introdotte da Gregorio Magno.

(14) Altre differenze, meno evidenti, riguardavano il testo biblico dei Salmi, la diversa disposizione delle parti della Messa ed alcuni ordinamenti giuridici sul clero.

(15) Nell’antica Roma, il giorno 17 dicembre era data d’inizio dei Saturnali, ogni comunità nominava un rex Saturnaliorum, che regnava per un’intera settimana tra banchetti, danze e giochi d’azzardo. Nell’occasione, i ruoli sociali s’invertivano e gli schiavi avrebbero potuto burlarsi del padrone.

(16) Anche le candele e le statuette d’argilla del presepe sono legate agli antichi Saturnali, queste ultime erano chiamate sigillaria e con le candele che erano scambiate quali strenne, nell’occasione.

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